#6.(ITA) Sui modelli da seguire: Beyoncé, Cowboy Carter II e perché è così importante essere se stessi.
Il nuovo album di Beyoncé mette in discussione la sua figura come modello a cui ispirarsi, il femminismo convenzionale e la femminilità nera del sud; in realtà è semplicemente se stessa.
Da quando ho memoria ho sentito le parole “modello” ed “esempio” risuonare dalle labbra di mia madre e passare attraverso gli occhi di mio padre. Essere la primogenita di genitori immigrati spesso comporta indossare un distintivo con sopra la parola leadership; invisibile ma non per questo meno esigente che scrive: "i tuoi fratelli ti ammirano" "devi essere un modello", "un esempio". La manifestazione fisica della comune frase colloquiale tra molti afro discendenti “show them” tradotta “fagli vedere”.
Mi chiedo, mostra loro cosa esattamente; la mia visione del mondo non piacerà necessariamente ai miei fratelli, o ad alcune persone, non necessariamente sarà vista come qualcosa a cui aspirare. Molto probabilmente siamo diversi, vediamo il mondo in modo diverso, ma secondo i miei genitori, se solo mi attenessi a quelle che sono le norme convenzionali che implicano il raggiungimento del successo accademico, della soddisfazione professionale e del buon lavoro domestico, potrei essere un modello da seguire, qualcosa a cui guardare e qualcosa a cui dovrei guardare nelle persone.
Fortunatamente hanno superato questa nozione. Fortunatamente non mi ci sono mai vista in queste parole.
Nella canzone "No Role Modelz" il rapper J Cole parla di una categoria di donne di Los Angeles che sono diventate superficiali e materialiste solo perché i loro unici modelli di vita erano reality tv stars senza talento, che non avevano nient’altro da offrire se non il loro aspetto. La loro “ norma* faceva e fa rima con chirurgia plastica, soldi veloci invece di percorsi di carriera comuni, e relazioni basate su desideri fisici piuttosto che un matrimonio tradizionale; quindi fondamentalmente è quello in cui si sono trasformate.
Ancora una volta, mi chiedo, è importante avere un modello nella nostra vita, non dovrebbe essere questo il ruolo dei nostri genitori? Ma ancora una volta, cosa succede se la loro esperienza di vita non ha fatto in modo che potessero diventarlo? Quanto la presenza o la mancanza di questo influisce su chi diventiamo e sul percorso che scegliamo nella vita. Quando lo diventeremo, e se mai diventeremo dei modelli da seguire, saremo davvero degli esempi o solo qualcuno a cui aspirare?
Queste riflessioni, naturalmente, sono il risultato di esperienze personali e dell'osservazione dei numerosi percorsi di vita amici e conoscenti nel corso degli anni. Ultimamente però queste stesse riflessioni sono riemerse abbastanza spesso, e con sfumature leggermente diverse, più articolate; in particolare con l’uscita del nuovo album “country” anche se direi “southern” di Beyoncé: Chapter II Cowboy Carter. La conversazione sugli aspetti politici e sociali dell'album mi ha rapito totalmente.
Il secondo capitolo di quella che sembrerebbe una trilogia intitolata “Renaissance” è arrivato il 29 marzo, anticipato da immagini rilevanti ed evocative di nozioni urgenti e complesse che credo profondamente non possano esistere l'una senza l'altra; nerezza, meridionalismo e americanità.
Beyoncé è sovrana sulla copertina dell'album, seduta su un cavallo bianco vestita come un cowboy, cappello e stivali inclusi. Appare orgogliosa mentre impugna la parte inferiore della bandiera degli Stati Uniti che penso sia stata tagliata volontariamente per sottolineare immediatamente quello che è il suo messaggio dietro e attraverso questo album: "Cowboy Carter II Is not a Country Album It's a Beyoncé Album".”Cowboy Carter II non è un album country è un album di Beyoncé.
Album cover act ii - COWBOY CARTER
L’ eliminazione della parte superiore del piedistallo della bandiera può essere interpretata come un'affermazione diretta. Beyoncé non mira a rappresentare l'America "convenzionale" di passaggio, o meglio l'intera America attraverso la sua abilità artistica, sebbene questa sia ancora una parte importante della sua identità. Probabilmente è il motivo per cui ha mantenuto la parte inferiore del corpo con le strisce, che rappresentano le tredici colonie britanniche che dichiararono l'indipendenza dalla Gran Bretagna, nell'American Revolutionary Act, cinque delle colonie erano nella parte meridionale degli Stati Uniti.
Cowboy Carter è il culmine di un lavoro e di una ricerca quinquennali che vedono Beyoncé reinterpretare o meglio riappropriarsi di un genere che per anni è stato esclusivamente, e direi falsamente, relegato ad un certo tipo di America, intesa come nazione con tradizioni e principi conservatori basati su ideologie di estrema destra. Originaria degli Stati Uniti meridionali e sud occidentali, la musica country è da sempre sinonimo del "Good Ole South"; l'epitome di pascoli fertili, pasti caldi e uomini bianchi vecchi e barbuti affiancati da belle donne, cresciute ed educate con la missione primaria di diventare mogli, madri e casalinghe esemplari; queste sono le immagini che vengono in mente quando la maggior parte delle persone pensa alla musica country.
Io, personalmente, penso alla canzone “Jolene” di Dolly Parton, che Beyoncé ha interpretato anche in Cowboy Carter, e magari qualcuno potrebbe pensare alla country band per eccellenza Lady Antebellum, chi lo sa. Ma sebbene la musica country tradizionale e più convenzionale sia e rappresenti un’importante facciata del genere nel suo insieme, è fondamentale riconoscere la verità spesso nascosta che si cela dietro la sua celebrazione e divulgazione.
Prodotto e per certi versi elemento quintessenziale del Sud, quando pensiamo agli Stati meridionali degli Stati Uniti dove la musica country è stata fondata e ha avuto origine, dobbiamo (e sottolineo il dobbiamo) immaginare gli afroamericani, gli schiavi, nonché le tradizioni orali e modi di sopravvivenza attraverso la musica, derivanti da un nuovo gruppo demografico che è stato violentemente strappato dalle coste dell'Africa occidentale per essere portato nelle piantagioni di cotone degli Stati Uniti. È fondamentale comprendere che non esiste musica country senza gli sforzi e le storie degli afroameircani, delle persone nere, senza la loro comunità, e la loro evoluzione.
Beyoncé in quanto autoproclamata “Texas Bama” lo sa bene. Infatti, prima di essere una diva pop multimilionaria, Bèyonce è una donna nera del sud, “una banjee creola b** della Louisiane” come si definisce nella sua interpretazione di Jolene di Dolly Parton.
Nata in Texas da padre afroamericano originario dell'Alabama e madre creola della Louisiana, si considera una ragazza creola della Louisianne (la pronuncia francese della Louisiana) che storicamente comprendeva parti delle odierne Louisiana e Alabama. Inoltre, "banjee" è un termine coniato nell'ambiente della cultura queer nera di New York City, e si può dire che abbia avuto origine dal moderno banjo. Il banjo è uno strumento a corda derivato da strumenti che risultano essere originati nel Nord America e nei Caraibi a partire dal XVII secolo da parte di schiavi afromericani.
Crescendo nel Sud, la musica country fa parte dell’identità meridionale e viceversa, ed è naturale che le comunità e gli artisti che hanno avuto origine dai loro antenati (schiavi afro americani) indipendentemente dal riconoscimento popolare abbiano continuato a essere pionieri delle arti e costumi derivanti; Beyoncé è una di quest* artist*.
In maniera silenziosa, ma a voce molto alta, attraverso Cowboy Carter II, Beyoncé offre l'opportunità alla cultura mainstream di riconoscere quanto la musica country debba il suo suono e la sua storia all'arte nera, alle persone nere.
Le 27 canzoni e l'album lungo 80 minuti offrono prospettiva e intimità nel mondo di una donna che per anni è stata ed è tuttora considerata "l'artista a cui ispirarsi". Dal suo stile alla sua versatilità, Beyoncé naviga senza sforzo tra tempi e generi con l'agilità di un artista poliedrica e il manierismo di una diva esperta, ricercata che è capace di dare e di essere l'esempio, indipendentemente dal ruolo che decide di incarnare. Con l'uscita di Cowboy Carter II, per la prima volta questo ruolo, e questo concetto è stato messo in discussione. Sarà perché ha osato sfidare un genere la cui storia nera è stata a lungo dimenticata e messa in ombra, o semplicemente perché la sua versione mira ad essere una celebrazione della sua visione piuttosto che di quella più tradizionale che proviene dalla stessa fonte (l’ America meridionale) ma canonicamente non le assomiglia per niente. Non posso dirlo.
In questo lungo lavoro, ogni singola canzone suona come una nota scritta a mano presa dal diario di una donna nera del sud ormai matura che si è destreggiata e si destreggia tra abilità artistiche e allo stesso tempo politiche identitarie ogni volta che si tratta di entrare in uno spazio in cui viene assegnata una designazione su parametri razziali e sociali, alquanto obsoleti.
Con grazia e dolcezza è in grado di dare al country una nuova sfumatura, una sfumatura che suona calda, casalinga e incredibilmente familiare; contestualizzando il “country” come una elemento imprenscindibile e intirnseco del canone musicale nero americano.
Un disco autobiografico e intriso di una narrazione che unisce il passato e il presente, la storia e il progresso; insieme a tributi ad artisti pionieristici come Linda Martell. Ulteriormente in maniera naturale si espande, riuscendo a colmare le lacune generazionali attraverso l'interpretazione di classici country, di cui uno dei miei preferiti, la canzone country Jolene.
Dolly Parton canta Jolene
Jolene è probabilmente una delle mie canzoni preferite dell'album, ancora una volta per ragioni giuste e allo stesso tempo sbagliate. Molto diversamente dall'originale, dove Dolly Parton (autrice e cantante della canzone) pur riconoscendo la sua bellezza, implora disperatamente "Jolene" di non prendersi il suo uomo nella versione di Beyoncé, la cantante usa un ebonico (linguaggio coniato dagli afro americani) persuasivo per dire coraggiosamente a Jolene, di non provare minimamente a prendere il suo uomo in quanto lei è altrettanto brava, se non migliore di lei. Secondo i critici, eliminare la vulnerabilità della canzone la sminuisce un po', ma ne siamo sicuri? Questa è letteralmente un’ interpretazione, e ovviamente Beyoncè ci darà la sua. Qualunque cosa ciò significhi e implichi.
Come sottolineato da Spencer Kothe in una lunga e approfondita esplorazione testuale su The Atlantic, Beyoncé "non sta semplicemente giocando con una sorta di rinascita culturale della moglie tradizionale" o presumendo di essere superiore alle altre donne, ma sta invece facendo eco al diritto delle donne nere di difendere la propria famiglia. Una sovversione del “doppio standard" della violenza nella musica, dove il campo prevalentemente bianco della musica country si avvale spesso e volentieri di temi di dominio e violenza senza ripercussioni mentre gli stessi temi se inseriti nel campo prevalentemente nero dell'hip-hop vede gli artisti "denigrati come pericolosi e persino perseguiti".
Il cosiddetto “antifemminismo” rappresentato dalla canzone ha acceso e scatenato molteplici dibattiti e riflessioni, discutendo sul perché nel 2024 una donna come Beyoncé dovrebbe scrivere una canzone sulla lotta con un’altra donna per un uomo. La mia domanda è: perché no? Beyoncé non è e non ha mai mirato ad essere rappresentativa, o un modello di tutte le donne, e in un mondo in cui così spesso predichiamo di non lottare per un uomo, ma i nostri familiari, le nostre madri, le nostre zie provengono da generazioni in cui questo era la norma. Mi chiedo cosa c'è di sbagliato nel sfidare i nostri antenati e le donne che in un certo senso, nonostante la problematicità di tutto ciò, hanno combattuto per preservare l'integrità di una famiglia quando sfortunatamente non sapevano che e come come fare, e se pure lo sapevano non potevano fare diversamente.
Solo perché ora abbiamo tutta la conoscenza e le risorse del mondo per scegliere ed emanciparci, non significa che sia sempre stato così. Le donne nere, le donne in generale, non sono un monolita per quanto controverso possa sembrare assurdo, le donne soprattutto le donne afroamericano hanno il diritto di difendere ciò per cui hanno lavorato così duramente per creare, specialmente in America, dove il sistema sociale ha cercato di disintegrare le famiglie nere con politiche discriminatorie per moltissimo tempo.
Abbiamo tutto il diritto di essere vulnerabili, di essere amorevoli e di mantenere i nostri confini, pur essendo perdutamente innamorat* di ciò che abbiamo, protettiv* in merito e potenzialmente anche leggermente disilluse al riguardo, riguardo le nostre relazioni. Questo non vuol dire che una donna dovrebbe andare in guerra con un'altra donna per un uomo, ma penso che sia importante contestualizzare la storia, il passato e l'educazione di una donna come Beyonce; cresciuta da genitori le cui voci riguardo l'infedeltà e gli abusi da parte del padre hanno pervaso un matrimonio fino al suo scioglimento.
L'arte ci permette di incanalare vissuti ed esperienze che sono state vissute da noi, e attraverso di noi, e con Jolene credo che Beyoncé stia facendo proprio questo. Come sottolineato da Doreen St. Felix, nel Cultural Comment on the New Yorker; “È una vera diva della vecchia scuola, cresciuta alla scuola della Motown Grace. Accuse e proiezioni devono fornirle parte della sua linfa vitale, ma una vera diva della vecchia scuola, come dice l’etichetta, non ammetterà mai apertamente la natura del suo appetito senza fondo”. Come in quasi ogni cosa, percepisco le sfumature di questo progetto e solo perché non si adattano alla nostra percezione personale delle cose non significa che debbano essere sbagliate.
Mentre continuavo a leggere tweets, e piccole riflessioni sull'argomento, un commento ricorrente è stato quello che mi ha colpito di più: “Lei è Bèyoncé, dovrebbe sapere cosa è meglio”; beh, la mia domanda è: dovrebbe?
Questo commento e commenti di questo tipo provenivano da pensatrici, donne e piattaforme femministe che sostenevano che con questo album, e questa canzone in particolare, Beyoncé ha sminuito il femminismo riportando le donne nere allo standard di soccombere alla lussuria e al desiderare uomo in nonostante tutto il resto.
Beh, in primo luogo, personalmente non penso che Beyoncé incarni il femminismo, e se lo fa, incarna un femminismo diciamo non convenzionale.
Nel 2013 Beyoncé ha utilizzato uno spezzone del TED Talk della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie intitolato: “Dovremmo essere tutti femministi" nel suo album omonimo del 2013. Utilizzando "Dovremmo essere tutti femministi” l’artista ha fornito un'enorme piattaforma per il femminismo spostando improvvisamente il discorso mainstream attorno ad esso. Tuttavia la stessa Adichie sostiene che c’è differenza tra il loro femminismo: “Il suo tipo di femminismo non è il mio, poiché è quello che, allo stesso tempo, dà molto spazio alle necessità degli uomini. Penso che gli uomini siano adorabili, ma non penso che le donne debbano raccontare tutto ciò che fanno agli uomini: mi ha fatto male? lo perdono? mi ha messo un anello al dito? “- dice in un'intervista con il magazine The Dutch.
Inoltre, la professoressa e studiosa Bell Hooks, il cui lavoro è stato il punto di accesso alla teoria femminista per molte donne e pensatori a livello globale, ha criticato Beyoncè più volte definendo il suo pluripremiato album visivo “Lemonade” “ un album capitalista, e ill modo migliore per fare soldi; uleteriormente si riferisce a Beyoncé come terrorista e antifemminista. hooks dice;: "Vedo una parte di Beyoncé che è in realtà antifemminista, che è una terrorista... soprattutto in termini di impatto sulle ragazze".
Ebbene, anche se non spetta a me definire cosa sia un buon femminismo e cosa non lo sia, sento che dovremmo smettere di cercare di cucire le nostre ideologie sulle persone, soprattutto su artisti a cui aspiriamo e vediamo come modelli da seguire, mentre questi sono impegnati a portare avanti la propria agenda artistica, personale ed emotiva. Come dovrebbero giustamente.
Come la maggior parte degli artisti, Beyoncè è una narratrice, non una fonte di verità, e ritengo che questa sia un concetto universale universale che dovremmo sforzarci a comprendere quando tendiamo le braccia verso la celebrity culture i cui protagonisti sono costantemente soggetti ad una ribalta estenuante in cerca di rassicurazione, di una guid, di un aiuto.
L'architetto e designer Gaetano Pesce, che è appena scomparso, nella sua ultima intervista su SSENSE ha detto una cosa che mi ha colpito, e allo stesso tempo emozionato: “Sono incoerente. Da quando avevo 18 anni, ho capito che essere incoerente è una forma di libertà, libero da te stesso. Libero da ciò che pensavi ieri.” Sento che le sue parole rappresentino una verità universale che appartiene alla maggior parte delle persone, in particolare agli artisti, anche se non ne sono consapevoli.
Spesso, per rendere l'arte consumabile e redditizia, questi devono reinventarsi, aprirsi e modellare il proprio essere in nuova argilla. Questo può significare essere incoerenti, sovversivi e sì, anche controversi.
Allora perché dovremmo attaccare, o meglio vedere una persona che incarna continuamente l'incoerenza come un modello da seguire?
Sento che il nostro bisogno di cercare modelli, cose e persone da seguire al di fuori di noi stessi è il modo più semplice per proiettare ciò che vogliamo essere attraverso gli obbiettivi e le azioni di qualcuno che possiamo ammirare, che ha percorso un percorso simile o semplicemente ci somiglia. Ed è bello, è ambizioso, come direbbe qualcuno, vedere qualcuno farcela, e avere successo nei campi in cui si mira ad entrare e lavorare, ti dà una spinta, il tipo di energia che dice "posso farcela anch'io". È confortante, poiché è importante sottolineare che la rappresentazione, soprattutto quando si è una minoranza, è vitale. Questa rappresentazione non dovrebbe impedirci, si sa, di seguire ciò che è dentro di noi oltre ciò a cui aspiriamo. Come cosa ti senti? Come sta il tuo cuore? Cosa lo muove? Cosa apprezzi?
I modelli di ruolo potrebbero e dovrebbero essere considerati fonte di ispirazione, ma non sono necessariamente qualcosa o qualcuno da seguire. Avere una guida è utile, ma seguire troppo da vicino il viaggio di qualcun altro porta a perdere la propria individualità, la propria singolarità e non esiste persona sulla terra che possa articolare la propria vita, le proprie scelte e i propri desideri meglio di te stess*.
Potrebbe suonare banale, ma attraverso Cowboy Carter ho trovato risposte a pensieri che non sapevo nemmeno fossero così forti. La crudezza di Beyoncé espressa in versi sfacciati, con un voce profonda come il suolo texano mi hanno ricordato che non siamo destinati a essere modelli da seguire. Semmai lo diventiamo, spesso non è mai una nostra scelta, e sebbene sia incredibile e bello avere qualcosa a cui aspirare e lasciarsi ispirare, l'unica persona che dovremmo seguire siamo noi stessi, e se poi sei religios* come me, Dio e ciò che Egli parla attraverso e in noi.
Il filosofo cinese Lao Tzu una volta disse: “Chi conosce gli altri è saggio; chi conosce se stesso è illuminato; Beyoncé lo è sicuramente e attraverso il suo ultimo album sento che ci sta insegnando proprio questo. Conosci te stesso, segui te stesso.
Da leggere:
Le origini nere della musica country
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Al prossimo Unraveling!